Il medaglione insanguinato
Spoletium, 241 a.C.: sulle pendici del Monteluco, presso una curva del torrente Tessino, affluente del Maroggia, in posizione assai ridente per la chiostra di montagne verdeggianti che le fanno corona, un insediamento, le cui origini affondano nella preistoria, diviene colonia romana. Spoletium, 571 d.C.: strappata dai longobardi al dominio bizantino, la città diviene sede di un vasto e potente ducato. Spoletium, 1155 d.C.: la città, ancor florida e potente sebbene il ducato si avviasse alla decadenza, viene assalita e distrutta da Federico Barbarossa. Spoletium, 1775 d.C.: una bambina scompare in circostanze misteriose mentre, in quello stesso istante, un quadro appare improvvisamente su una delle pareti del soggiorno di una villa fuori città. Per entrambi gli avvenimenti, apparentemente slegati tra di loro, non viene trovata alcuna spiegazione. Resta indiscutibile la straordinaria somiglianza tra la bambina scomparsa e una figura al centro del dipinto. Spoleto 1975 d.C.: la città presenta un aspetto vetusto, con i suoi numerosi edifici medievali e del Rinascimento, le vie strette e tortuose, spesso a cordonata, e i numerosi cavalcavia. Il quadro è allo studio degli esperti. Una figura in bianco, apparentemente una bambina, cerca di sfuggire terrorizzata ad un gruppo di persone (contadini?) armate di falci e bastoni. Il suo sguardo è rivolto verso l’alto, in direzione di una seconda figura femminile, adulta, che precipita nel vuoto circondata dalle fiamme. Sovrasta l’intera scena una figura demoniaca, che si staglia, appena distinguibile se non fosse per il suo colore rosso fuoco, sulle nuvole sullo sfondo.
Fu con l'incipit qui sopra che il 20 giugno 2014 The Obsidian Mirror si congedava temporaneamente dai suoi lettori, trasferendo armi e bagagli a Karpathos, nel Dodecaneso, sulle cui spiagge il sottoscritto avrebbe poi trascorso un paio di settimane in totale ozio. L'idea di inserire quell'incipit, con il rimando ad un post programmato per uscire su Obsploitation due giorni più tardi, mi parve ottima: avrebbe creato quel tocco di mistero e di conseguenza avrebbe trascinato l'audience, o almeno così speravo, verso l'appuntamento previsto. Il dettaglio che si trattasse della recensione di un film non fu dichiarato, anche se la natura stessa di Obsploitation lo suggeriva.
Ad ogni modo fu così che il 22 giugno ripresi dal punto in cui mi ero interrotto...
Spoleto 1975 d.C.: il regista Massimo Dallamano presenta il suo ultimo film, “Il medaglione insanguinato”, la storia di un documentarista britannico, interprato da Richard Johnson, inviato nella città umbra dalla BBC per una ricerca sull’iconografia demoniaca. Egli si troverà a dover far luce sulla vicenda di un misterioso dipinto apparso misteriosamente in quei luoghi due secoli prima.
Ce n’era abbastanza per attirare la mia attenzione, non credete? Come potrebbe un blogger appassionato di leggende e misteri rimanere indifferente di fronte a simili presupposti? Se poi aggiungiamo il fatto che la figlia del protagonista (Emily) era la fotocopia sputata della bambina scomparsa nel 1700 (guarda caso, Emilia), allora c'erano abbastanza elementi per mettersi a scrivere...
In realtà avrei tanto voluto arrivare a scrivere, ad un certo punto, che la storia del quadro e della bambina scomparsa, raccontata da Dallamano, avesse qualche fondamento reale. Avrei voluto magari poter scrivere che il quadro esiste davvero e che è conservato e tuttora visibile presso qualche museo o, meglio ancora, appeso alla parete di un’antica chiesa spoletina. Purtroppo, ahimè, non è così. Nonostante le mie affannose e speranzose ricerche in rete non ho potuto che giungere alla conclusione che si tratta di pura finzione cinematografica. Lo stesso quadro, che ho sopra descritto e che vedete in un’immagine a corredo di questo articolo, non è altro che una tela dipinta apposta per l’occasione. Sono spiacente se qualcuno dei miei lettori sia rimasto deluso, ma è la triste realtà. Anzi, no. Ora che ci penso quel quadro, anche se farlocco, da qualche parte deve pur essere finito, magari in un magazzino dimenticato a Cinecittà. Una ricerca pertanto potrebbe anche essere possibile ma, evidentemente, l’impresa è quasi disperata e, detto tra noi, molto poco interessante.
Decisamente più interessante è invece la carriera di Massimo Dallamano, regista milanese prematuramente scomparso, autore di pellicole cult come “Cosa avete fatto a Solange?” (1972) e “La polizia chiede aiuto” (1975). Una carriera cinematografica che Dallamano iniziò, nelle vesti di direttore della fotografia, partecipando a due pietre miliari del western all’italiana, vale a dire “Per un pugno di dollari” (1964) e “Per qualche dollaro in più” (1965) del grande Sergio Leone. Mica pizza e fichi. Vale la pena aggiungere che, come il protagonista de “Il medaglione insanguinato”, anche il nostro regista vanta radici da documentarista: tra i suoi “successi” Dallamano può infatti annoverare le riprese che riuscì a fare a Mussolini e alla Petacci quel 29 aprile 1945 in Piazzale Loreto.
Massimo Dallamano realizza questo “Il medaglione insanguinato” e lo fa affidandosi completamente alla grande espressività dell’allora undicenne Nicoletta Elmi, la ragazzina simbolo del giallo all’italiana anni Settanta. Scoperta da Mario Bava (“Reazione e catena”, “Gli orrori del castello di Norimberga”) e già protagonista in capolavori come “Chi l’ha vista morire?” (Aldo Lado, 1972) e “Le orme” (Luigi Bazzoni, 1974), la piccola Nicoletta Elmi viene forse ricordata maggiormente per la sua breve apparizione nella parte dell’inquietante Olga di “Profondo Rosso” (Dario Argento, 1975) o forse, con mio sommo dispiacere, per la parte dell’adolescente dark Benedetta Valentini nella serie TV demenzial-popolare “I ragazzi della 3°C” (1987-88).
Scelta azzeccatissima quella di Dallamano: nonostante la giovane età, Nicoletta Elmi riesce a bucare letteralmente il video, rubando la scena ad affermate stelle internazionali del calibro di Joanna Cassidy (Blade Runner, Fantasmi da Marte), Richard Johnson (Incubo sulla città, Operazione Crossbow), Lila Kedrova (Zorba il greco, L’inquilino del terzo piano) e Ida Galli (La dolce vita, Il gattopardo). Riguardare oggi la piccola Nicoletta è un’esperienza incredibile. Abituati come siamo a vedere all’opera pseudo-attori incapaci di una minima espressione (e non sto parlando solo di bambini), ci fa rimpiangere un’epoca in cui potevamo, orgogliosamente, mostrare al mondo un simile talento. Un’incredibile capacità, la sua, di oscillare tra la figura della giovane vittima innocente e quella del demone infernale. In altre parole una presenza che mette davvero paura, dalla prima all’ultima scena. Decisamente più azzeccato quindi è il titolo internazionale (“The Night Child”) che perlomeno centra in pieno, anche se avrebbe potuto farlo meglio, il vero fulcro attorno a cui ruota la narrazione. Il titolo italiano e, peggio ancora il sottotitolo (“Perché?”), è assolutamente fuorviante e, personalmente, mi ha fatto storcere un po’ il naso.
Altra grande protagonista di questa pellicola è senza ombra di dubbio la città di Spoleto, con i suoi vicoli, le sue piazze e i suoi monumenti. Tra un’inquadratura e l’altra ci soffermiamo a visitare la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, con un affresco raffigurante l'uccisione di Thomas Becket, attraversiamo il Ponte delle Torri, citato da Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, ci fermiamo a bere una cosa in piazza della Signoria, a pochi passi dal Duomo. Il tutto accompagnato dalle bellissime musiche di Stelvio Cipriani. A chi non l’ha mai visitata dico “guardatevi questo film e vi verrà voglia di farlo”.
Con questi presupposti “Il medaglione insanguinato” non può che essere un grande film, anche e soprattutto per la grande mano del regista e del direttore della fotografia, che sono stati capaci di dosare immagini e colori in maniera sorprendente e vivace. Eppure… eppure alla fine un po’ di amaro in bocca rimane. Sarà per via del finale telefonato, sarà per via di una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, con dei dialoghi improbabili e delle situazioni a dir poco grottesche. “Il medaglione insanguinato” è un film che è partito in quarta, con grandi idee e grandi potenzialità, ma che alla fine, per qualche incomprensibile motivo, si è un po’ perso per strada. È un peccato perché le basi per diventare un film immortale come il già citato “Profondo Rosso” o come, giusto per fare un altro esempio, “La casa dalle finestre che ridono” (Pupi Avati, 1976) c’erano tutte. È un peccato anche perché Massimo Dallamano era arrivato a tanto così dal fare il botto e, di sicuro, se un incidente stradale non ce lo avesse portato via a soli 59 anni sarebbe riuscito a raggiungere l’Olimpo dei più grandi.
Un’ultima doverosa nota per commentare le illazioni relative al fatto che questo film celerebbe messaggi pedofili e incestuosi. Sono presenti, in effetti, alcuni momenti in cui l’attaccamento della piccola Emily al genitore rasenta il patologico. Il suo tentativo di escludere tutte le donne che si avvicinano al padre ha un qualcosa di troppo esageratamente immaturo per non essere notato. Emily, orfana di madre, amplifica al massimo il sentimento verso il genitore superstite e in lei, credo che questo sia perfettamente comprensibile, emerge prepotente il complesso di Edipo. Come è noto, tutti i bambini nella prima infanzia “amano” inconsciamente il genitore di sesso opposto e, in un certo senso, “odiano” l’altro, in cui vedono un rivale a e cui vorrebbero sostituirsi. Nessuno di noi solitamente ha memoria di quel periodo e di questi sentimenti ma, secondo Freud, essi possono ripresentarsi nei nostri sogni di adulti. Nel nostro caso Emily si trova a metà strada tra l’infanzia e l’età adulta, ha subito una grave perdita nel suo recente passato e, per non farsi mancare nulla, viene trapiantata in una Spoleto inquietante dove le viene ventilata la possibilità di essere la reincarnazione di una strega che lì visse e lì fu messa al rogo duecento anni prima.
Niente messaggi incestuosi e pedofili, quindi. Massimo Dallamano è stato anzi bravissimo a plasmare correttamente la psicologia di una undicenne calata in una situazione complessa. Il fatto che qualcuno poi abbia colto significati diversi mi pare un po’ tirato per i capelli.
Fu con l'incipit qui sopra che il 20 giugno 2014 The Obsidian Mirror si congedava temporaneamente dai suoi lettori, trasferendo armi e bagagli a Karpathos, nel Dodecaneso, sulle cui spiagge il sottoscritto avrebbe poi trascorso un paio di settimane in totale ozio. L'idea di inserire quell'incipit, con il rimando ad un post programmato per uscire su Obsploitation due giorni più tardi, mi parve ottima: avrebbe creato quel tocco di mistero e di conseguenza avrebbe trascinato l'audience, o almeno così speravo, verso l'appuntamento previsto. Il dettaglio che si trattasse della recensione di un film non fu dichiarato, anche se la natura stessa di Obsploitation lo suggeriva.
Ad ogni modo fu così che il 22 giugno ripresi dal punto in cui mi ero interrotto...
Spoleto 1975 d.C.: il regista Massimo Dallamano presenta il suo ultimo film, “Il medaglione insanguinato”, la storia di un documentarista britannico, interprato da Richard Johnson, inviato nella città umbra dalla BBC per una ricerca sull’iconografia demoniaca. Egli si troverà a dover far luce sulla vicenda di un misterioso dipinto apparso misteriosamente in quei luoghi due secoli prima.
Ce n’era abbastanza per attirare la mia attenzione, non credete? Come potrebbe un blogger appassionato di leggende e misteri rimanere indifferente di fronte a simili presupposti? Se poi aggiungiamo il fatto che la figlia del protagonista (Emily) era la fotocopia sputata della bambina scomparsa nel 1700 (guarda caso, Emilia), allora c'erano abbastanza elementi per mettersi a scrivere...
In realtà avrei tanto voluto arrivare a scrivere, ad un certo punto, che la storia del quadro e della bambina scomparsa, raccontata da Dallamano, avesse qualche fondamento reale. Avrei voluto magari poter scrivere che il quadro esiste davvero e che è conservato e tuttora visibile presso qualche museo o, meglio ancora, appeso alla parete di un’antica chiesa spoletina. Purtroppo, ahimè, non è così. Nonostante le mie affannose e speranzose ricerche in rete non ho potuto che giungere alla conclusione che si tratta di pura finzione cinematografica. Lo stesso quadro, che ho sopra descritto e che vedete in un’immagine a corredo di questo articolo, non è altro che una tela dipinta apposta per l’occasione. Sono spiacente se qualcuno dei miei lettori sia rimasto deluso, ma è la triste realtà. Anzi, no. Ora che ci penso quel quadro, anche se farlocco, da qualche parte deve pur essere finito, magari in un magazzino dimenticato a Cinecittà. Una ricerca pertanto potrebbe anche essere possibile ma, evidentemente, l’impresa è quasi disperata e, detto tra noi, molto poco interessante.
Decisamente più interessante è invece la carriera di Massimo Dallamano, regista milanese prematuramente scomparso, autore di pellicole cult come “Cosa avete fatto a Solange?” (1972) e “La polizia chiede aiuto” (1975). Una carriera cinematografica che Dallamano iniziò, nelle vesti di direttore della fotografia, partecipando a due pietre miliari del western all’italiana, vale a dire “Per un pugno di dollari” (1964) e “Per qualche dollaro in più” (1965) del grande Sergio Leone. Mica pizza e fichi. Vale la pena aggiungere che, come il protagonista de “Il medaglione insanguinato”, anche il nostro regista vanta radici da documentarista: tra i suoi “successi” Dallamano può infatti annoverare le riprese che riuscì a fare a Mussolini e alla Petacci quel 29 aprile 1945 in Piazzale Loreto.
Massimo Dallamano realizza questo “Il medaglione insanguinato” e lo fa affidandosi completamente alla grande espressività dell’allora undicenne Nicoletta Elmi, la ragazzina simbolo del giallo all’italiana anni Settanta. Scoperta da Mario Bava (“Reazione e catena”, “Gli orrori del castello di Norimberga”) e già protagonista in capolavori come “Chi l’ha vista morire?” (Aldo Lado, 1972) e “Le orme” (Luigi Bazzoni, 1974), la piccola Nicoletta Elmi viene forse ricordata maggiormente per la sua breve apparizione nella parte dell’inquietante Olga di “Profondo Rosso” (Dario Argento, 1975) o forse, con mio sommo dispiacere, per la parte dell’adolescente dark Benedetta Valentini nella serie TV demenzial-popolare “I ragazzi della 3°C” (1987-88).
Scelta azzeccatissima quella di Dallamano: nonostante la giovane età, Nicoletta Elmi riesce a bucare letteralmente il video, rubando la scena ad affermate stelle internazionali del calibro di Joanna Cassidy (Blade Runner, Fantasmi da Marte), Richard Johnson (Incubo sulla città, Operazione Crossbow), Lila Kedrova (Zorba il greco, L’inquilino del terzo piano) e Ida Galli (La dolce vita, Il gattopardo). Riguardare oggi la piccola Nicoletta è un’esperienza incredibile. Abituati come siamo a vedere all’opera pseudo-attori incapaci di una minima espressione (e non sto parlando solo di bambini), ci fa rimpiangere un’epoca in cui potevamo, orgogliosamente, mostrare al mondo un simile talento. Un’incredibile capacità, la sua, di oscillare tra la figura della giovane vittima innocente e quella del demone infernale. In altre parole una presenza che mette davvero paura, dalla prima all’ultima scena. Decisamente più azzeccato quindi è il titolo internazionale (“The Night Child”) che perlomeno centra in pieno, anche se avrebbe potuto farlo meglio, il vero fulcro attorno a cui ruota la narrazione. Il titolo italiano e, peggio ancora il sottotitolo (“Perché?”), è assolutamente fuorviante e, personalmente, mi ha fatto storcere un po’ il naso.
Altra grande protagonista di questa pellicola è senza ombra di dubbio la città di Spoleto, con i suoi vicoli, le sue piazze e i suoi monumenti. Tra un’inquadratura e l’altra ci soffermiamo a visitare la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, con un affresco raffigurante l'uccisione di Thomas Becket, attraversiamo il Ponte delle Torri, citato da Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, ci fermiamo a bere una cosa in piazza della Signoria, a pochi passi dal Duomo. Il tutto accompagnato dalle bellissime musiche di Stelvio Cipriani. A chi non l’ha mai visitata dico “guardatevi questo film e vi verrà voglia di farlo”.
Con questi presupposti “Il medaglione insanguinato” non può che essere un grande film, anche e soprattutto per la grande mano del regista e del direttore della fotografia, che sono stati capaci di dosare immagini e colori in maniera sorprendente e vivace. Eppure… eppure alla fine un po’ di amaro in bocca rimane. Sarà per via del finale telefonato, sarà per via di una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, con dei dialoghi improbabili e delle situazioni a dir poco grottesche. “Il medaglione insanguinato” è un film che è partito in quarta, con grandi idee e grandi potenzialità, ma che alla fine, per qualche incomprensibile motivo, si è un po’ perso per strada. È un peccato perché le basi per diventare un film immortale come il già citato “Profondo Rosso” o come, giusto per fare un altro esempio, “La casa dalle finestre che ridono” (Pupi Avati, 1976) c’erano tutte. È un peccato anche perché Massimo Dallamano era arrivato a tanto così dal fare il botto e, di sicuro, se un incidente stradale non ce lo avesse portato via a soli 59 anni sarebbe riuscito a raggiungere l’Olimpo dei più grandi.
Un’ultima doverosa nota per commentare le illazioni relative al fatto che questo film celerebbe messaggi pedofili e incestuosi. Sono presenti, in effetti, alcuni momenti in cui l’attaccamento della piccola Emily al genitore rasenta il patologico. Il suo tentativo di escludere tutte le donne che si avvicinano al padre ha un qualcosa di troppo esageratamente immaturo per non essere notato. Emily, orfana di madre, amplifica al massimo il sentimento verso il genitore superstite e in lei, credo che questo sia perfettamente comprensibile, emerge prepotente il complesso di Edipo. Come è noto, tutti i bambini nella prima infanzia “amano” inconsciamente il genitore di sesso opposto e, in un certo senso, “odiano” l’altro, in cui vedono un rivale a e cui vorrebbero sostituirsi. Nessuno di noi solitamente ha memoria di quel periodo e di questi sentimenti ma, secondo Freud, essi possono ripresentarsi nei nostri sogni di adulti. Nel nostro caso Emily si trova a metà strada tra l’infanzia e l’età adulta, ha subito una grave perdita nel suo recente passato e, per non farsi mancare nulla, viene trapiantata in una Spoleto inquietante dove le viene ventilata la possibilità di essere la reincarnazione di una strega che lì visse e lì fu messa al rogo duecento anni prima.
Niente messaggi incestuosi e pedofili, quindi. Massimo Dallamano è stato anzi bravissimo a plasmare correttamente la psicologia di una undicenne calata in una situazione complessa. Il fatto che qualcuno poi abbia colto significati diversi mi pare un po’ tirato per i capelli.
Non gli mancava poi molto per diventare un cult... peccato. |
Nuovo grande film che mi segno da recuperare: grazie per questa appassionata panoramica ^_^
RispondiEliminaPeraltro da tempo sto raccogliendo "quadri misteriosi" per un futuro viaggio nell'argomento, quindi doppia chicca!
Quadri misteriosi? Ma come? Butti lì questa cosa che profuma di figata e subito te ne vai senza dire nient'altro?
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